A mente fredda/ Le quattro evidenze di Teramo-Foggia: scopriamo quali

Partiamo da una premessa: il risultato è giusto. Il Teramo: buon complesso, organizzazione di gioco, tanto dinamismo, qualche ottima individualità (su tutti, il ’99 Santoro). A nostro parere, merita la posizione che ha in classifica. Oltretutto, fra le mura amiche è un rullo compressore: percorso netto di 5 vittorie su 5, 8 gol segnati e nessuno subito. Non era dunque il “Bonolis” il campo (peraltro un sintetico temuto da molti anche per le sue caratteristiche tecniche) dove fare punti salvezza. Lo era invece Cava, e in qualche modo lì i punti si sono fatti. E lo sarà lo “Zaccheria” domenica, perché la Virtus Francavilla è avversario da “scontro diretto” per quello che è l’obiettivo del Foggia. Ovvero, tenerne 5 alle nostre spalle. Se poi saranno una decina, beh, tanto meglio: vorrà dire che potremo divertirci un altro po’.

Esaurita la premessa, veniamo ai segnali che comunque il recupero all’ombra del Gran Sasso ha mandato.

Il calcio è, assai di frequente, uno sport paradossale: se infatti l’impressione generale avuta ieri un po’ da tutti è quella di cui in premessa, con i padroni di casa superiori in qualità, dall’altro canto, stringi stringi, se si vanno a contare le palle gol emerge un inaspettato equilibrio: più o meno 3 o 4 per parte. Certamente ha peso specifico maggiore la traversa a fine primo tempo di marca teramana (a proposito, non è vero che era entrata). E pur tuttavia la serata lascerà un dubbio: come sarebbe andata senza l’errore-orrore di Anelli? Il sospetto è che, se lo 0 a 0 avesse tenuto un altro po’, col passare dei minuti e magari arrivando all’inevitabile girandola dei cambi, per il buon Teramo si sarebbe lentamente fatta sempre più dura avere la meglio sui rossoneri (ieri in orrenda tenuta verde-acido, che, ovviamente, ha portato male).

Ma nel calcio, come in tutti gli sport, i “se” e i “ma” contano zero. Cerchiamo allora di capire che evidenze sono venute fuori da questa gara per i nostri.

Prima evidenza: il disasto di Anelli non è un caso isolato. I fatti dicono che i rischi peggiori il Foggia li corre sempre in uscita palla a terra dalla propria area (oltre che nei corner). Vedi Gavazzi contro la Turris. Troppi segnali per non ascoltare il campanello d’allarme, e anche per gettare la croce solo sui difensori: Marchionni ha idee e audacia, ma si ritrova Anelli, Gavazzi e Germinio, non Busquets e Mascherano, e non è De Zerbi, non foss’altro perché quest’ultimo aveva almeno Gigliotti e il suo sinistro educato (e cionondimeno di gol evitabilissimi in condizioni simili in quei due anni se ne presero a iosa). Per cui pretendere di far impostare il gioco a centrali con queste caratteristiche non fa che metterne a nudo i limiti. Troppo disabituati, piedi ruvidi, tempi di giocata lunghi: se ne riparlerà, semmai, con Del Prete e Galeotafiore abili e arruolabili dal primo minuto (posto che il secondo confermi le  qualità che in diversi gli accreditano).

Seconda evidenza: anche qui non giriamo troppo intorno al problema. Lo sciagurato infortunio di Naessens, un giocatore che stavamo piacevolmente scoprendo, ha lasciato un buco enorme. Di fatto c’è un solo centravanti “di peso” in rosa, e neanche in forma idonea dopo l’anno e mezzo di pausa forzata per pretendere che si sobbarchi sulle spalle l’attacco rossonero. Rocca è un giocatore tecnico e intelligente ma il “fuori ruolo” non aiuta e la coppia con Curcio così assortita è rimasta isolata (spesso letteralmente “distanziata”) rispetto al reparto mediano, dialogando poco e nulla con le mezzali. Urgerà intervenire in fretta, sebbene ormai se ne parli già a gennaio.

Terza evidenza: tanto per completare il discorso sui reparti, in mezzo al campo uno solo tra Salvi e Gentile può bastare. Rispetto a entrambi, più intuitivi, Raggio Garibaldi è più logico. Ha geometrie che all’inizio non erano supportate dalla condizione:  incuriosirebbe rivederlo ora, col nuovo corso impresso a poco a poco da Marchionni.

Quarta evidenza: in 8 giorni abbiamo visto 3 Foggia piuttosto diversi:

  1. Manovriero, avvolgente, ingenuo quello con la Turris (la partita che probabilmente segna una sorta di “inizio” nella piena applicazione del verbo “marchionnesco”);
  2. arruffone, affannato ma estremamente pratico e cinico quello di Cava (di necessità faccio virtù: non riesco a giocare come voglio, ma evito di giocare come vorrebbe il mio avversario);
  3. sempre aggressivo ma più accorto (al netto degli errori già visti) col Teramo, senza il consueto pressing forsennato e con una maggiore propensione al gioco verticale.

La costante è una: la personalità. Questa squadra ne ha da vendere e soprattutto per questo è difficile affrontarla. Ma il modo in cui interpreta il suo stare in campo a quanto pare lo determinano le caratteristiche dell’avversario: la Turris mi aspetta bassa? (almeno nel primo tempo, poi nel secondo Fabiano cambia tutto) Io la avvolgo col palleggio, cercando di muovere la sua difesa e trovare l’uno-due in area; la Cavese pressa e corre più di me? Lascio perdere il fioretto e vado di sciabola anche nel mio gioco; il Teramo è rapido a capovolgere il gioco e ha difensori abili nel palleggio e capaci di eludere il mio pressing (forse la differenza tecnica più marcata tra le due squadre)? Lo aspetto più basso, cercando di ripartire in verticale con meno uomini, confidando nella capacità di cercarsi e trovarsi di Rocca e Curcio.

Bene, questa capacità quasi “camaleontica” è un fatto positivo (sempre che non sia l’avversario a imporla: lo capiremo solo più avanti). Vedremo come potrà svilupparsi in seguito.

Intanto c’è un altro dato: le prime 6 di questo torneo le abbiamo già incontrate tutte. Ora sotto con le altre: un vantaggio o una responsabilità da non fallire? Lo scopriremo presto. A occhio e croce, già da domenica.

Giancarlo Pugliese

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