Dopo-derby: Semaforo…spento. Scopriamo il perchè
Mai come in questa occasione ci risulta difficile accendere le luci del Semaforo per trovare vizi e virtù postume al derby di sabato. Un derby che aspettavamo con ansia e tanta gioia. Ma che a conti fatti, ci è piaciuto assai poco, in molte delle sue componenti.
Questa settimana, perciò, il nostro Semaforo resterà spento.
Spento come l’atmosfera dello Zaccheria, perlomeno rispetto a quella che sarebbe dovuta essere in una giornata attesa da ben 21 anni, ma deprivata di una componente essenziale: la tifoseria ospite, che non ha potuto ricambiare la visita dei rivali al San Nicola, e la cui assenza ha svuotato il derby, togliendogli la gran parte del colore, dell’ardore, del mordente, per dirla alla curva Nord. Tra scioperi del tifo, assenza totale di reciproci sfottò e coreografie belle, ma ammirate solo dal pubblico di casa. Peccato.
Spento poi come la mente di Guarna, evidentemente, nell’istante in cui ha fatto quel regalo a Nenè, vanificando il vantaggio dei rossoneri e stringedo idealmente la mano al povero Gyomber che lo aveva pochi minuti prima propiziato. Un errore che ha avuto l’effetto di un Canadair sui bollenti spiriti dello Zaccheria e che, senza tanti giri di parole – del resto lo avevamo lungamente detto e ripetuto alla vigilia – in un match come questo, non può essere ammesso. A maggior ragione da un ex. A maggior ragione se è la 5^ partita consecutiva che questo portiere regala rinvii agli avversari. Plateale quello con l’Empoli, palo di Caputo. Ancora peggio il gentile passaggio al centravanti biancorosso, seguito da una probabile paralisi che ha forse impedito al numero uno calabrese di uscire a valanga immediatamente dopo l’errore.
Ma, va detto e noi lo diciamo, spento anche come i successivi 67 minuti, compreso il recupero, in cui non si è visto un solo tiro in porta da parte di entrambe le squadre, eccezion fatta per quello casuale e un po’ sporco, di Mazzeo, spentosi anch’esso ineluttabilmente qualche cm sopra la traversa.
Spento come l’ardore di una squadra che avrebbe dovuto dare la vita in campo, in una partita che era LA partita, e che incarnava in sè una delle più profonde delle ragioni di un ritorno in B dopo 19 anni di indicibili sofferenze e mortificazioni.
Spento come la speranza di approdare ai playoff, così sbandierata negli ultimi giorni, ciliegina di un campionato eccezionale, e che rappresentava una motivazione aggiuntiva alle già tante che accompagnavano il derby.
Spento come le dichiarazioni a fine gara dei protagonisti, spente nella loro banalità se rapportate a una gara dai simili contenuti emozionali per i propri tifosi.
Spento come il volto in conferenza stampa mostrato da mr. Stroppa, cui saremo sempre grati per il grande lavoro fatto a Foggia, ma che sabato no, non ci è piaciuto: non perché non sia giusto operare una difesa di ufficio per un proprio giocatore, o non sia encomiabile assumerne in prima persona le responsabilità; ma perché tale difesa ha sconfinato nell’arroganza di chi non ha voluto neppure consentire ai propri interlocutori, a coloro che rappresentavano l’interfaccia in quella sala stampa tra i protagonisti e i loro tifosi, di sollevare le proprie legittime domande , anticipandoli con quella che a noi, consentiteci, ci è sembrata pura prosopopea.
Spento come il senso d’appartenenza a questa piazza, forse troppo criticona e tanto turbolenta, ma che ha anche saputo dimostrargli amore, stima e gratitudine come pochi altri posti al mondo sarebbero in grado di fare… un’appartenenza che il nostro mister non ha forse saputo mostrare nel migliore dei modi, in questa circostanza e in quella sala stampa, neppure come comprensibile empatia per la delusione dei propri tifosi, della propria gente, verso una partita ampiamente aldisotto delle tante, enormi aspettative, caricate da 21 anni di attesa.
Spento, infine, come il sorriso dei tifosi a fine gara, tanti dei quali venuti da lontanissimo, organizzatisi con ferie e con ogni mezzo possibile, che avevano reso natalizia l’atmosfera in città nel weekend della partita… un sorriso scemato in smorfia non a causa del mero risultato finale, un pari che anche alla vigilia, al netto dei proclami, poteva ampiamente starci, ma dal fatto di non aver visto, forse, altrettanta carica, altrettanto “furore agonistico”, nei propri beniamini.
L’avevamo detto e ripetuto: non era quella con il Bari la partita del “meglio due feriti che un morto” e ci rifiutiamo categoricamente di pensare che questo sia stato il pensiero dei protagonisti in campo. Ci dispiace davvero, perciò, di non poter andare oltre questo lungo elenco di luci spente, di non poter raccontare qualcosa di grande, luminoso, magnifico. E ci dispiacerà ancora di più se, di questo comunque splendido campionato, dovesse restare una piccola macchia. Quella di un Foggia-Bari , tornato 21 anni dopo ma, per l’appunto, già spento al 29° del primo tempo.
Giancarlo Pugliese