Sarno, il destino di un calciatore
A Melfi è una fredda e umida giornata di dicembre del 2016. All’Arturo Valeri corre il minuto 88^ tra i gialloverdi locali ed il Foggia, reduce da una pesantissima contestazione allo Zaccheria dopo una inopinata sconfitta interna contro il Fondi. L’allenatore Giovanni Stroppa è in bilico, come il nostro destino nel campionato. Una manciata di minuti prima De Vena, attaccante dei locali, stampa sul palo alla sinistra di Guarna il rigore che ci avrebbe aperto le porte del baratro, già raggiunti sull’1-1 dagli avversari in inferiorità numerica da diversi minuti. Attaccati al computer con le palpitazioni a mille, non un solo tifoso spera ormai di portare a casa una vittoria che sarebbe stata ossigeno puro, quando Rubin, imbeccato da Martinelli, innesca Riverola (altro giocatore ceduto con troppa fretta) che con un tacco triangola con Agnelli e pennella un cross sul quale Vincenzo Sarno, dall’alto dei suoi 167 centimetri di altezza, si fa trovare pronto sul palo opposto insaccando il gol del 1-2 per l’immensa gioia di almeno 300 ultras assiepati dietro la porta, in curva.
Stroppa salva la panchina e la squadra prende il volo verso l’agognata serie B. Non si fermerà più, stravincendo il Campionato prima e la Supercoppa poi.
Credo che in quel gol si racchiuda tutta la storia di Vincenzo Sarno in Capitanata. La storia agro-dolce di un ragazzino prodigio da 200 milioni, strappato dal Torino alla sua Secondigliano, che sognando i titoli di testa delle “pagine rosa” si era invece ritrovato a giocare sui campi di paese della terza serie, raccogliendo in carriera la miseria di un solo gol e 35 presenze in serie B tra Brescia e Reggio Calabria.
Dopo l’ennesima delusione a Chiavari con l’Entella, ecco peró la chiamata di Di Bari a Foggia insieme a De Zerbi, una specie di ultimo appuntamento con la fortuna, l’ultimo “tram chiamato desiderio”.
È amore a prima vista. Un amore suggellato con due gol (il primo con una magistrale punizione) a tempo scaduto, guardacaso sempre in una giornata di dicembre, durante un sentitissimo derby contro il Lecce che ormai pregustava il pareggio per 0-0.
E di gol decisivi Vincenzo ne segnerà tanti al Foggia: 30 in 95 presenze, spesso in gare da “dentro o fuori” come nei Play Off del 2016 contro Alessandria e Lecce, molti su punizione, pochi, ma inportantissimi, da vice-Mazzeo lo scorso campionato, come quando lo si intravede sbucare nella nebbia contro il Catanzaro siglando l’1-0 su un traversone di Gerbo, o a Francavilla con un rasoterra da 30 metri, beffando il portiere giallorosso sorpreso fuori posizione, per non parlare poi degli innumerevoli assist per Iemmello, Mazzeo e per lo stesso Chiricó (da leggenda quello del momentaneo 2-1 al Pisa).
Ma tutto questo Sarno lo ha fatto anche fuori ruolo, da falso nueve, dovendo sostituire l’infortunato Mazzeo e stringendo i denti per giocare con delle infiltrazioni, a rischio della sua stessa salute, come solo chi ama la maglia con la quale scende in campo puó fare, e come lo stesso Stroppa dichiarerà a tutti noi difendendolo coi denti (allora), quando ci si lamentava del suo ridotto rendimento prima che quel fastidio lo relegasse “ob torto collo” quasi definitivamente in tribuna.
Un altro si sarebbe chiamato fuori pensando alla carriera. Sarno no. Aveva ancora negli occhi le lacrime e nel cuore il dolore dei 20.000 dello Zaccheria in quel tristissimo 12 giugno del 2016. No, la nostra gente non la poteva tradire. Le nostre lacrime erano state le sue e di tutti quei meravigliosi ragazzi, pur se sconfitti, in quella maledetta finale.
Ci vuole amore per fare quello che ha fatto lui. “There must be love”, come cantano David Morales e Janice Robinson nel brano che proprio Vincenzo, con l’inseparabile Vacca, aveva scelto per festeggiare quella promozione solo sfiorata con i toscani di Gattuso l’anno prima e finalmente raggiunta a Fondi solo dieci mesi dopo.
In una carriera ormai costellata di lacrime ecco finalmente una rivincita, il sorriso, la festa con la sua squadra, i suoi tifosi. La speranza di essere arrivato una volta per tutte ad Itaca, di aver finito di fare il gitano del calcio nazionale.
Ma la gioia durerà lo spazio “di una notte di mezza estate”. Il destino busserà alla porta e non per dare buone notizie.
Non rientra più nel progetto di Stroppa e Di Bari. “Non ha gamba” si dice, anche se stiamo aspettando che qualcuno ci spieghi cosa diavolo significhi poi questa affermazione. Rifiuta di tornare a giocare in C come un carcerato rifiuterebbe la prigione il giorno dopo aver guadagnato la propria libertà. Si sente tradito. Anche i tifosi sembrano poi non così tanto coinvolti da questa decisione tecnica. Anzi, più d’uno lo definisce “mercenario” perchè messo fuori rosa rifiuta di rescindere il contratto e cambiare aria.
Il resto è storia di ieri. Va via Di Bari ma con Nember la musica non cambia. La rescissione contrattuale è inevitabile. Accetta il Padova e la C ma prima, dopo tanto silenzio, quelle poche righe ai tifosi da Instagram. Ancora parole d’amore per una città e per una squadra che l’aveva fatto finalmente volare ed a cui aveva dato sportivamente forse più di quanto avesse ricevuto.
Vincenzino Sarno non sarà stato il miglior giocatore del Foggia, avrà sbagliato qualcosa, avrà percepito uno stipendio pur stando in tribuna, ma qualcosa gli è stato tolto ingiustamente, qualcosa d’importante per un calciatore ed un’atleta: l’onore delle armi, quell’onore che si concede persino al nemico che si riconosce essersi battuto con valore.
Ho sognato fino all’ultimo in questi mesi, portando addosso la sua maglia in giro per tutti gli stadi d’Italia, che fosse reintegrato. Persa questa speranza adesso mi auguro che quell’onore gli venga restituito dal suo popolo, il popolo rossonero, da quelle curve che lo hanno acclamato, che hanno gioito ad ogni sua rete, magari con uno striscione con scritto solo il suo nome sopra il numero 10 della maglia rossonera e con lo stadio in piedi ad applaudire. Mi emozionerei come ad un gol di Mazzeo al 90^, e solo lo Zaccheria, quando vuole, sa e puó commuovere come ci ha commosso lui, tutti, congedandosi così, da campione, dentro e fuori dal campo.
Francesco Bacchieri